di Gianpaolo Rampini, videographer – social media empowerment – international cooperation
Promuovere un’area marina protetta con una sagra a base di quel pesce locale che si vorrebbe proteggere. Un paradosso? Solo in apparenza.
Ne è convinta l’Associazione dei pescatori di Pantelleria e il Gruppo di lavoro per la tutela dell’isola che abbiamo fatto nascere qui nel corso degli ultimi tre anni.
Domenica 19 luglio, Pantelleria ha avuto luogo la prima edizione della Sagra delle Tradizioni, una vera e propria festa che si è tenuta al porto di Scauri, durante la quale i due gruppi hanno mostrato come l’unico modo per proteggere il mare dalla pesca insostenibile sia la partecipazione dei singoli cittadini, attraverso la salvaguardia della tradizione della pesca artigianale locale.
In mare non c’è più pesce. Ma la colpa di chi è?
Pantelleria è un’isola vulcanica, un cono rovesciato che sale da 700 metri di profondità nel mezzo del Canale di Sicilia. Questo significa che il mare diventa subito profondo, rendendo la superficie di pesca intorno alla costa molto limitata: a volte qualche centinaio di metri, a volte molto meno.
Per questo, quando i pescatori di Pantelleria vedono arrivare le barche a strascico dalla Sicilia, sanno già che pescheranno illegalmente.
La legge impone infatti allo strascico di operare almeno a 0,7 miglia dalla costa ma, vista la morfologia dell’isola, queste distanze significherebbero pescare a profondità improponibili (oltre i 250 metri). Per questo, soprattutto negli ultimi anni, la pesca a strascico e la pesca con rete a circuizione compiono incursioni sottocosta, spesso addirittura a poche decine di metri dalla riva. Lo strascico lascia a 18-20 metri di profondità i solchi di un’aratura che strappa la Posidonia oceanica, rifugio di riproduzione di tantissime specie. Venendo a mancare questo ecosistema cade tutto il ciclo di vita di specie marine che per secoli hanno sfamato la popolazione dell’isola.
Basti pensare che in una sola notte uno strascico può fare 15/ 20.000 Euro di pescato che però non lascia più nulla ai pescatori per il resto dell’anno. Queste sono problematiche all’ordine del giorno sulle coste del Mediterraneo.
Il primo esperimento in Italia di processo partecipato per la tutela del mare
Ciò che però differenzia Pantelleria da qualsiasi altro posto è proprio questo processo che abbiamo voluto sperimentare con i gruppi di interesse per il mare, tra cui per primi i pescatori locali, che ha radicalmente cambiato la mia vita e quella della mia compagna, al punto da convincerci a trasferirci su questo scoglio nel mezzo del Mare Nostrum, per seguire da vicino il processo. Arrivammo sull’isola nell’estate del 2013 con un progetto che proposi al WWF Italia all’interno della campagna contro le trivellazioni nel Canale di Sicilia.
A minacciare Pantelleria infatti non è solo la pesca industriale illegale, ma anche le trivelle in mare.
L’unica possibilità di difesa dell’isola era (ed è) la creazione di un’area marina protetta. Per raggiungere tale obiettivo proponemmo lo sviluppo di un processo partecipato in cui fosse direttamente la popolazione ad ideare una forma di tutela del mare.
Il cuore del nostro progetto non era solo sviluppare un metodo decisionale, bensì creare strumenti, grazie ai quali i cittadini potessero decidere direttamente sui metodi per tutelare il proprio territorio.
Lo sforzo maggiore è stato quello di creare consapevolezza nei cittadini sull’importanza del loro impegno per la sostenibilità futura del territorio. Il cittadino deve tornare a prendersi cura del suo ambiente proprio come si faceva in passato, ma con un approccio nuovo.
È per questo che la sagra, oltre ad essere un momento di festa, sarà anche l’occasione per sottolineare la necessità di una partecipazione attiva della cittadinanza nella tutela del territorio sia marino che terrestre (non dobbiamo dimenticare che il “pantesco DOC” ha una doppia identità: è pescatore ma anche contadino). I pescatori illuminati quindi, per domenica 19, hanno deciso di fare sul serio e hanno creato un evento a impatto zero: solo pesce locale cucinato secondo la tradizione e consumi idrici limitati.
Inoltre, la grande novità, è stata l’introduzione delle stoviglie biodegradabili (anche per festeggiare l’inizio della raccolta differenziata porta a porta sull’isola).
Fino ad oggi piatti, bicchieri e posate di plastica sono infatti stati una delle costanti dei pasti degli abitanti dell’isola. Avendo sempre avuto difficoltà nel reperimento di acqua dolce, gli isolani hanno visto nelle stoviglie di plastica la soluzione ai loro consumi idrici non dovendo più lavare i piatti e hanno iniziato a farne un uso quotidiano. Ecco che utilizzare stoviglie biodegradabili (offerte da Ecozema, che, insieme a BioEcoGeo, ha promosso l’evento) vuole essere un messaggio forte verso un cambiamento ormai necessario e non più prorogabile, visto anche il costo economico e ambientale delle tonnellate di rifiuti che vengono trasportate nelle discariche siciliane.
Ma questa è un’altra storia, di cui parlerò nelle prossime puntate del mio racconto di quest’esperienza collettiva alla ricerca del cambiamento culturale per un nuovo rapporto tra uomo e ambiente.
Un percorso per dimostrare come i grandi cambiamenti di pensiero avvengano attraverso il superamento dei paradossi apparenti, come un pescatore che è guardiano e protettore dei propri pesci e un’area protetta in grado di generare economia e ricchezza.